Karl Lagerfeld
Prague Nový Smíchov
2021
Project: Karl Lagerfeld + R6003 Studio
Project Development: R6003 Studio
Engineering: R6003 Studio



Prague Nový Smíchov
2021
Project: Karl Lagerfeld + R6003 Studio
Project Development: R6003 Studio
Engineering: R6003 Studio
Prague Palladium
2020
Project: Karl Lagerfeld + R6003 Studio
Project Development: R6003 Studio
Engineering: R6003 Studio
Milan
2021 - in progress
Lot of 7 apartments
Project: R6003 Studio
Milan
2021 - in progress
Project: R6003 Studio
Milan
2019
Project: Michela Oliva
San Lorenzo di Sebato, Bolzano
2020 - in progress
Project: R6003 Studio with Ang 42
The Schloss Sonnenburg manor is an ancient building, dating back to the 10th century AD. In 1020 the castle was transformed into a monastery. The building survived to many events which became legends in the local history of Val Pusteria. The project is an Interior Architectural Renovation meant to convert this historic castle and former convent into a luxury hotel and spa. The surface of the hotel is 5200 sqm, and it includes 34 rooms and suites, 3 restaurants and show kitchen, 4 lounges and bars, a SPA and swimming pool floor as well as different outdoor areas.The project has been developed maintaining unaltered the austere and rigorous atmosphere of the site granting, as well, the modern commodity.All the elements and furniture fixtures were custom designed integrating harmoniously the past and the future.
Il lighting designer deve affrontare il progetto lavorando a stretto contatto con l’architetto o interior designer fin dalle prime idee di concept. La luce e le scelte di materiali, colori e finiture devono essere confrontate e studiate in maniera empirica, cercando di testare le varie proposte al fine di ottenere il risultato desiderato.
Le parole dell’architetto Michela Oliva ci aiutano a capire meglio questo particolare dualismo tra luce e colore:
“Il punto di partenza nello sviluppo di un concept per un marchio, sia esso per uno spazio commerciale o di ufficio, è l’analisi dei valori del brand da comunicare che costituiscono l’anima e il DNA dell’azienda unitamente ai bisogni e al posizionamento del marchio stesso.
Questi aspetti rappresentano il messaggio da interpretare e trasmettere attraverso la creazione di uno spazio sviluppato ad hoc, che diventi la «pelle del marchio» e la sua «customer/employee experience».
Commissionare un nuovo concept sottende la volontà del Brand di rinnovarsi e di cambiare aspetto pur restando fedele alla propria filosofia o all’evoluzione di essa. È una variazione del percepito agli occhi del pubblico. Una muta, un po’ come accade in natura, che deve avvenire periodicamente. Per stupire, evolvere il proprio aspetto, per attrarre e colpire chi osserva, catturandone l’attenzione e l’ammirazione. Il Brand comunica attraverso i suoi spazi (attraverso le sue atmosfere che sono fatte di colori, luci, materiali e talvolta profumi), che devono essere evocativi e in linea con il suo posizionamento. Per questo, l’approccio alla ricerca delle palette di colori e materiali che rispecchino l’anima del Brand richiede un esercizio di immedesimazione e rielaborazione importante.
Il trinomio colore – luce – materiale, in particolare, costituisce un aspetto fondamentale per il benessere psicofisico di chi vive lo spazio sia, quindi, per chi vi avrà permanenza continuativa (come chi ci lavora) sia per chi vi transita (come, ad esempio, i clienti).
Bisogna creare ambienti che ‘smuovano’ la parte emotiva degli utenti per far sì che lo spazio venga associato a un’esperienza sensoriale positiva, producendo il desiderio di volerla ripetere.
In questo scenario, i colori e i materiali devono evocare i main messagges del Brand concorrendo a richiamare la sua riconoscibilità e unicità pur potendo essere slegati dalle cromie del logotipo e dell’eventuale pittogramma del marchio.
Resta in ogni caso fondamentale trovare un equilibrio tra ambiente e prodotto/attività lavorativa per non adombrare questi ultimi, che devono rimanere indiscussi protagonisti.
A prescindere dall’utilizzo di colori particolari per le finiture, la luce all’interno di uno spazio enfatizza sempre la parte emozionale e può conferire, se ben dosata, una teatralità anche alle cose più semplici, accentuando l’aspetto emotivo del progetto. Va usata con cognizione di causa e in maniera sapiente per enfatizzare alcune parti e, magari, nasconderne altre, in modo da valorizzare colori e tonalità o oggetti. Sempre, naturalmente, in funzione dello specifico utilizzo dell’ambiente. Ritengo, inoltre, sia necessario poter regolare la luce all’interno di uno spazio nel corso della giornata per garantire l’atmosfera desiderata a seconda delle attività che si svolgono nei vari ambienti e, quando c’è, in base al continuo mutamento della luce naturale. Personalmente prediligo la luce bianca perché, se ben calibrata, consente di osservare i materiali nella loro reale cromia e nella loro essenza.
Considero la luce colorata più come un “gioco”, un effetto ludico che potrebbe essere sicuramente un elemento caratterizzante e di rottura o di valorizzazione emozionale di alcune parti del progetto.”
[…]
The archive, understood as a form of thought, in its multiple possibilities, represents a work in progress. Let us try to imagine that, in addition to holding a material, we also possess a magnifying glass. New horizons open up to us, designers, explorers and navigators. The pages of Bruno Munari’s book Da lontano era un’isola (From afar it was an island) come to mind, in which he tells how a simple stone, apparently devoid of any kind of expression, actually encloses a world full of meaning. This is what emerges from the Materioteca, a project conceived by Milanese architect Michela Oliva – R6003 Studio, in the heart of Brera. The project is part of the MetroQuality Milano showroom, like a real exhibition where samples of materials can be observed, manipulated,
studied in their expressive and technological dimension. A bookcase with more than 2000 physical samples, in about 150 square metres of the showroom’s more than 400. It is an intimate and evocative place for designers, intended as an extension of their work space, where they can explore and touch each individual sample. The surfaces of the archives are emptied of decoration and left free of distracting elements, thus ensuring focus on individual objects. On the archive-walls are ‘bookcases’ built to accommodate the samples in different sizes and colours with a display and lighting system that enhances the intrinsic characteristics of each element. During the narration, the exhibition is transformed and comes to life in a gallery of seven moodboards, which provide a possible interpretation of the use of materials such as ceramics, paints, fabrics and marbles. Ultimately, it is a place where one can change one’s outlook on things. Getting to know each individual fragment, thinking about multiple variables for each object, inevitably helps to broaden the range of reality.
L’archivio, inteso come forma di pensiero, nelle sue molteplici possibilità, rappresenta un’opera in divenire. Proviamo ad immaginare che, oltre ad avere in mano un materiale, possediamo anche una lente d’ingrandimento. Nuovi orizzonti si aprono a noi, progettisti, esploratori e naviganti. Vengono a riguardo in mente le pagine di Bruno Munari del libro Da lontano era un’isola in cui racconta come un semplice sasso, apparentemente privo di qualunque tipo di espressione, in realtà racchiuda un mondo carico di significato. È quanto emerge dalla Materioteca, progetto ideato dall’architetto milanese Michela Oliva – R6003 Studio, nel cuore di Brera. Il progetto si inserisce all’interno dello showroom di MetroQuality Milano, come una vera e propria esposizione dove campioni di materiali possono essere osservati, manipolati, studiati nella loro dimensione espressiva e tecnologica. Una libreria che raccoglie più di 2000 campioni fisici, in circa 150 mq degli oltre 400 dello showroom. È un luogo intimo ed evocativo, per i progettisti, inteso come ampliamento del proprio spazio di lavoro, in cui esplorare e toccare con mano ogni singolo campione. Le superfici degli archivi sono svuotate da decorazioni e lasciate libere da elementi di distrazione, garantendo così il focus sui singoli oggetti. Sulle paretiarchivio si collocano le “librerie” realizzate per accogliere i campioni di formati e colori diversi con un sistema espositivo e illuminotecnico che valorizza le caratteristiche intrinseche di ciascun elemento. Durante la narrazione, l’esposizione si trasforma e prende vita in una galleria di sette moodboard, che forniscono una possibile interpretazione di utilizzo dei materiali come ceramiche, legni, tessuti e marmi. In definitiva è un luogo in cui poter cambiare lo sguardo sulle cose. Conoscere al meglio ogni singolo frammento, pensando a più variabili per ogni oggetto, aiuta inevitabilmente ad ampliare il ventaglio della realtà.
BORN IN MILAN, IN THE HEART OF BRERA, IN 2020, FROM MICHELA OLIVA’S 20 YEARS OF EXPERIENCE, R6003 IS AN ARCHITECTURE STUDIO SPECIALISING IN INTERIORS. THE NAME COMES FROM THE RAL CODE THAT DEFINES ‘VERDE OLIVA’, THE CORPORATE COLOUR. CONSISTING OF SOME TWENTY ARCHITECTS, R6003 CAN COVER EVERY ASPECT OF THE PROJECT, INTERFACING WITH THE MANY DESIGN, CREATIVE, TECHNICAL AND ADMINISTRATIVE ASPECTS. TEAMWORK, A MULTI-DISCIPLINARY APPROACH AND THE MANAGEMENT OF COMPLEX PROCESSES AND DETAILS, WITH THE ABILITY TO CREATE A SERVICE PERFECTLY SUITED TO EACH CLIENT, ARE THE KEYS TO THE SUCCESS OF R6003 STUDIO, WHICH EMBRACES AN EVER-EVOLVING WORLD GEARED TO THE HIGHEST INTERNATIONAL STANDARDS IN THE SECTOR: RETAIL, RESIDENTIAL AND HOTEL.
NATO A MILANO, NEL CUORE DI BRERA, NEL 2020, DALL’ESPERIENZA VENTENNALE DI MICHELA OLIVA, R6003 È UNO STUDIO DI ARCHITETTURA SPECIALIZZATO IN INTERNI. IL NOME DERIVA DAL CODICE RAL CHE DEFINISCE IL “VERDE OLIVA”, COLORE CORPORATE. COMPOSTO DA UNA VENTINA DI ARCHITETTI, R6003 PUÒ COPRIRE OGNI ASPETTO DEL PROGETTO, INTERFACCIANDOSI CON I MOLTEPLICI ASPETTI PROGETTUALI, CREATIVI, TECNICI E AMMINISTRATIVI. LAVORO DI SQUADRA, APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE E GESTIONE DI PROCESSI E DETTAGLI COMPLESSI, CON CAPACITÀ DI CREARE UN SERVIZIO PERFETTAMENTE ADERENTE AL CLIENTE, SONO LE CHIAVI DEL SUCCESSO DI R6003 STUDIO, CHE ABBRACCIA UN MONDO IN CONTINUA EVOLUZIONE ORIENTATA AI PIÙ ALTI STANDARD INTERNAZIONALI DEL SETTORE: RETAIL, RESIDENZIALE E HOTELLERIE.
Un elegante appartamento a Parigi in stile Haussmann, ristrutturato dallo studio di architettura In Situ & Partners riflette l’essenza francese Secondo Impero, tra tradizione e modernità. «L’idea era di rispettare i codici estetici di un appartamento classico parigino, integrandoli con la funzionalità di una residenza moderna. Abbiamo ritrovato gli atti notarili ufficiali dell’appartamento risalenti al 19esimo secolo che ci hanno guidato nel ricreare i ritmi dello spazio» Spiega l’architetto Yacine Bensalem fondatore di In Situ & Partners, studio di progettazione d’interni di lusso con sede a Hong Kong.« Il nostro intervento ha seguito le regole dello stile haussmanniano insieme alle influenze britanniche e asiatiche insite nel nostro DNA». Un progetto seducente e raffinato che valorizza l’alto artigianato, visibile nelle finiture eseguite a mano con incredibile perizia, e nei diversi pezzi su misura disegnati per questo appartamento a Parigi da In Situ & Partners e prodotti da esperti maestri italiani e francesi.
Come ha incorporato la sua estetica nello stile classico haussiano?
«Nel corridoio abbiamo creato delle mensole di pelle e bronzo, dando un tocco di glamour asiatico, che si ritrova anche nelle mensole di resina di stile giapponese sopra il camino del salone. Il corridoio, che separa la parte privata della residenza con quella di rappresentanza con il gran salone e lo studio, lo abbiamo concepito quasi come fosse uno spazio all’aperto. La lanterna e il pavimento geometrico del corridoio in particolare ricordano l’atrio di un palazzo parigino».
Qual è la prima cosa che l’ha rapita di questo appartamento parigino?
«Nonostante il proprietario precedente avesse eliminato tutti gli elementi distintivi dello stile haussmanniano, dal parquet alle modanature originali, alla divisione dei salotti, era facile immaginare com’era una volta. L’ingresso monumentale, le grandi finestre e i soffitti di tre metri, e naturalmente l’incomparabile vista sulla Tour Eiffel»
Materiali e palette di colori seguono i codici dello stile haussmanniano, come è avvenuta la selezione?
«Abbiamo ricreato l’involucro degli interni classici parigini, dai colori naturali come il bianco avorio per le pareti e i soffitti e il parquet di quercia a spina di pesce leggermente patinato per dare l’idea che sia stato vissuto. Per lo studio e per la powder room, la boiserie di legno di quercia scuro è ispirata in parte dallo stile britannico. Il pavimento del grande corridoio riprende un motivo geometrico tradizionale del 19esimo secolo realizzato in tre varietà di marmo italiano grigio, nero e bianco. Lo stesso motivo è replicato con le piastrelle del pavimento della cucina contemporanea dall’atmosfera più casual, dove abbiamo usato tonalità contrastanti come il grigio e il color ruggine della parete»
Qual è stata la sfida più grande di questo progetto?
«Oltre al lavorare durante il periodo del Covid, credo che la sfida più grande sia stata quella di catturare lo spirito haussmanniano in maniera autentica e, allo stesso tempo, combinarlo con il nostro stile. Il fatto di aver studiato e lavorato 14 anni a Parigi, dove parte dei miei studi era dedicata all’architettura classica francese, ci ha aiutato. Siamo andati controcorrente perché credo che attualmente nel settore si valuti poco l’esercizio classico dell’architettura d’interni».
Come la sua estetica dialoga con le numerose opere d’arte?
«Abbiamo scelto numerose opere di Pierre Bonnefille che è un Maître d’Art, la nomina più alta per un artigiano, designer, pittore e colorista. Le sue opere incarnano la tradizione in modo poetico e contemporaneo. In una società dove tutti sentono il bisogno di appartenere ad una corrente precisa, lui è un mosaico di espressioni artistiche. Il suo lavoro si allinea ai nostri interventi che sono guidati da uno spirito artistico e poetico, con grande valore e spazio all’artigianalità e rispetto l’identità storica e culturale della residenza».
di Olivia Fincato
Originally published on AD Italia
L’economia ripartirà, il punto di vendita ne godrà e continuerà ad avere nella propria natura sensoriale un valore rituale irrinunciabile. Tutto questo, però, dovrà essere adattato a nuove logiche di sicurezza destinate a restare in auge e capaci di fugare dubbi e paure, senza rinunciare alla giocosa piacevolezza degli spazi retail. Questo il quadro delineato dall’architetto Michela Oliva, che dopo 20 anni di esperienza nel retail di alta gamma, moda in primis, ha fondato il suo studio R6003 a Brera, nel cuore di Milano. Tra le firme con cui ha lavorato Ermenegildo Zegna, Karl Lagerfeld, Pomellato, Louis Vuitton e Dodo.
Il retail ha bisogno di nutrirsi di quello che sarà un ritorno all’aspetto esperienziale: poter andare in un negozio e guardare, annusare, toccare quello che si compra è una parte integrante e necessaria della nostra cultura e del processo di apprendimento di modelli e comportamenti. La ritualità non è destinata a scomparire, anzi, semmai sarà ancora più importante, però andrà rivista per tutti i settori. Anche la moda dovrà farlo: all’inizio della pandemia c’è stato il tentativo di conservare lo status quo, limitando l’intervento alla sanificazione di ambienti e capi (tema destinato a restare centrale anche nel lungo termine).
Bisognerà ripensare gli spazi riproporzionando gli zooning delle aree vendita, aumentando le aree private (camerini, spazi di attesa e di sosta) e di servizio per garantire una nuova gestualità fatta di movimenti più ordinati, distanze tra individui e una permanente necessità di sicurezza. In questo saranno coinvolti materiali facilmente lavabili e igienizzabili e tecnologie, come gli impianti dell’aria condizionata, da modificare affinché garantiscano l’immissione negli ambienti di sostanze per una sanificazione continua delle superfici e dell’aria che respiriamo. Tecnologie come quelle usate in ambienti pressurizzati o nelle sale operatorie sopperiranno alla mancanza di un ricambio d’aria. Ciò detto, bisogna che questo diverso approccio non vada a inficiare un rituale di gioco, piacere, bellezza che caratterizza i negozi e che non snaturi l’orientamento alla vendita. È la vendita, infatti, la funzione principale di un negozio. Questo significherà restituire senso di sicurezza, evitando di parlare di pericolo.
Per l’altissima gamma si potrebbe, ad esempio, legare la sicurezza a un concetto di maggiore esclusività, lavorando con clienti ricevuti su appuntamento, anche se, in realtà, vorrebbe dire modificare parte del piacere dell’acquisto d’impulso. Per negozi di fascia diversa, il cui scontrino medio non consenta un’esperienza esclusiva con vendita su appuntamento o anche per i grandi magazzini, dove si spazia dall’accessorio a pochi euro al capo/oggetto importanti, il discorso è più complesso, perché ci si confronta con numeri e budget considerevolmente differenti. La strategia da attuare imporrà di modificare i layout con una progettazione che “inviti e conduca i clienti” verso comportamenti nuovi, trovando idee per non farli sentire costretti, bensì accompagnati. Sarà quindi necessario lavorare sull’ampliamento delle zone di accesso ai camerini o di sosta distanziata, perché non si potrà più utilizzare quello stile cash & carry con 20 persone accalcate in coda.
Credo vada posta la giusta attenzione alla questione del taglio degli investimenti da parte dei brand per la diminuzione dei profitti. Sarà necessario affrontare in maniera creativa il taglio dei budget. Il “value engineering”, aspetto su cui lavoro con i brand da anni, sarà uno dei punti chiave del rilancio. Si lavorerà sempre più sulla sostituzione di materiali costosi con altri il cui aspetto sia similare ma dal prezzo accessibile, mantenendo una percezione armonica degli spazi: lì sta la sfida.