L’economia ripartirà, il punto di vendita ne godrà e continuerà ad avere nella propria natura sensoriale un valore rituale irrinunciabile. Tutto questo, però, dovrà essere adattato a nuove logiche di sicurezza destinate a restare in auge e capaci di fugare dubbi e paure, senza rinunciare alla giocosa piacevolezza degli spazi retail. Questo il quadro delineato dall’architetto Michela Oliva, che dopo 20 anni di esperienza nel retail di alta gamma, moda in primis, ha fondato il suo studio R6003 a Brera, nel cuore di Milano. Tra le firme con cui ha lavorato Ermenegildo Zegna, Karl Lagerfeld, Pomellato, Louis Vuitton e Dodo.
Il retail ha bisogno di nutrirsi di quello che sarà un ritorno all’aspetto esperienziale: poter andare in un negozio e guardare, annusare, toccare quello che si compra è una parte integrante e necessaria della nostra cultura e del processo di apprendimento di modelli e comportamenti. La ritualità non è destinata a scomparire, anzi, semmai sarà ancora più importante, però andrà rivista per tutti i settori. Anche la moda dovrà farlo: all’inizio della pandemia c’è stato il tentativo di conservare lo status quo, limitando l’intervento alla sanificazione di ambienti e capi (tema destinato a restare centrale anche nel lungo termine).
Bisognerà ripensare gli spazi riproporzionando gli zooning delle aree vendita, aumentando le aree private (camerini, spazi di attesa e di sosta) e di servizio per garantire una nuova gestualità fatta di movimenti più ordinati, distanze tra individui e una permanente necessità di sicurezza. In questo saranno coinvolti materiali facilmente lavabili e igienizzabili e tecnologie, come gli impianti dell’aria condizionata, da modificare affinché garantiscano l’immissione negli ambienti di sostanze per una sanificazione continua delle superfici e dell’aria che respiriamo. Tecnologie come quelle usate in ambienti pressurizzati o nelle sale operatorie sopperiranno alla mancanza di un ricambio d’aria. Ciò detto, bisogna che questo diverso approccio non vada a inficiare un rituale di gioco, piacere, bellezza che caratterizza i negozi e che non snaturi l’orientamento alla vendita. È la vendita, infatti, la funzione principale di un negozio. Questo significherà restituire senso di sicurezza, evitando di parlare di pericolo.
Per l’altissima gamma si potrebbe, ad esempio, legare la sicurezza a un concetto di maggiore esclusività, lavorando con clienti ricevuti su appuntamento, anche se, in realtà, vorrebbe dire modificare parte del piacere dell’acquisto d’impulso. Per negozi di fascia diversa, il cui scontrino medio non consenta un’esperienza esclusiva con vendita su appuntamento o anche per i grandi magazzini, dove si spazia dall’accessorio a pochi euro al capo/oggetto importanti, il discorso è più complesso, perché ci si confronta con numeri e budget considerevolmente differenti. La strategia da attuare imporrà di modificare i layout con una progettazione che “inviti e conduca i clienti” verso comportamenti nuovi, trovando idee per non farli sentire costretti, bensì accompagnati. Sarà quindi necessario lavorare sull’ampliamento delle zone di accesso ai camerini o di sosta distanziata, perché non si potrà più utilizzare quello stile cash & carry con 20 persone accalcate in coda.
Credo vada posta la giusta attenzione alla questione del taglio degli investimenti da parte dei brand per la diminuzione dei profitti. Sarà necessario affrontare in maniera creativa il taglio dei budget. Il “value engineering”, aspetto su cui lavoro con i brand da anni, sarà uno dei punti chiave del rilancio. Si lavorerà sempre più sulla sostituzione di materiali costosi con altri il cui aspetto sia similare ma dal prezzo accessibile, mantenendo una percezione armonica degli spazi: lì sta la sfida.
L’economia ripartirà, il punto di vendita ne godrà e continuerà ad avere nella propria natura sensoriale un valore rituale irrinunciabile. Tutto questo, però, dovrà essere adattato a nuove logiche di sicurezza destinate a restare in auge e capaci di fugare dubbi e paure, senza rinunciare alla giocosa piacevolezza degli spazi retail. Questo il quadro delineato dall’architetto Michela Oliva, che dopo 20 anni di esperienza nel retail di alta gamma, moda in primis, ha fondato il suo studio R6003 a Brera, nel cuore di Milano. Tra le firme con cui ha lavorato Ermenegildo Zegna, Karl Lagerfeld, Pomellato, Louis Vuitton e Dodo.
Il retail ha bisogno di nutrirsi di quello che sarà un ritorno all’aspetto esperienziale: poter andare in un negozio e guardare, annusare, toccare quello che si compra è una parte integrante e necessaria della nostra cultura e del processo di apprendimento di modelli e comportamenti. La ritualità non è destinata a scomparire, anzi, semmai sarà ancora più importante, però andrà rivista per tutti i settori. Anche la moda dovrà farlo: all’inizio della pandemia c’è stato il tentativo di conservare lo status quo, limitando l’intervento alla sanificazione di ambienti e capi (tema destinato a restare centrale anche nel lungo termine).
Bisognerà ripensare gli spazi riproporzionando gli zooning delle aree vendita, aumentando le aree private (camerini, spazi di attesa e di sosta) e di servizio per garantire una nuova gestualità fatta di movimenti più ordinati, distanze tra individui e una permanente necessità di sicurezza. In questo saranno coinvolti materiali facilmente lavabili e igienizzabili e tecnologie, come gli impianti dell’aria condizionata, da modificare affinché garantiscano l’immissione negli ambienti di sostanze per una sanificazione continua delle superfici e dell’aria che respiriamo. Tecnologie come quelle usate in ambienti pressurizzati o nelle sale operatorie sopperiranno alla mancanza di un ricambio d’aria. Ciò detto, bisogna che questo diverso approccio non vada a inficiare un rituale di gioco, piacere, bellezza che caratterizza i negozi e che non snaturi l’orientamento alla vendita. È la vendita, infatti, la funzione principale di un negozio. Questo significherà restituire senso di sicurezza, evitando di parlare di pericolo.
Per l’altissima gamma si potrebbe, ad esempio, legare la sicurezza a un concetto di maggiore esclusività, lavorando con clienti ricevuti su appuntamento, anche se, in realtà, vorrebbe dire modificare parte del piacere dell’acquisto d’impulso. Per negozi di fascia diversa, il cui scontrino medio non consenta un’esperienza esclusiva con vendita su appuntamento o anche per i grandi magazzini, dove si spazia dall’accessorio a pochi euro al capo/oggetto importanti, il discorso è più complesso, perché ci si confronta con numeri e budget considerevolmente differenti. La strategia da attuare imporrà di modificare i layout con una progettazione che “inviti e conduca i clienti” verso comportamenti nuovi, trovando idee per non farli sentire costretti, bensì accompagnati. Sarà quindi necessario lavorare sull’ampliamento delle zone di accesso ai camerini o di sosta distanziata, perché non si potrà più utilizzare quello stile cash & carry con 20 persone accalcate in coda.
Credo vada posta la giusta attenzione alla questione del taglio degli investimenti da parte dei brand per la diminuzione dei profitti. Sarà necessario affrontare in maniera creativa il taglio dei budget. Il “value engineering”, aspetto su cui lavoro con i brand da anni, sarà uno dei punti chiave del rilancio. Si lavorerà sempre più sulla sostituzione di materiali costosi con altri il cui aspetto sia similare ma dal prezzo accessibile, mantenendo una percezione armonica degli spazi: lì sta la sfida.
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